Category: Tempo libero ed esperienze lavorative

A Roma la trattoria gestita dai ragazzi autistici

ROMA. Pizza, biscotti, torte rustiche. E ancora un maneggio, un casale con vista su un campo incorniciato e un piccolo spazio agricolo coltivato. Si chiama Articolo 14 ed è la trattoria tutta speciale gestita da ragazzi disabili e autistici a Roma. A guidarli, la ‘Cooperativa Sociale Garibaldi’, formata da 20 soci, di cui 13 giovani con disabilità psichica grave, dove genitori, operatori, psicologi e persone autistiche condividono esperienze di vita e di lavoro.

Tutto è nato nel 2006, quando un gruppo di genitori di ragazzi autistici deciso di unirsi per per dare una risposta concreta all’isolamento cui sono costretti molti degli autistici oggi, soprattutto quando entrano l’età adulta. Il nome prende spunto proprio dall’Articolo 14 della legge 328 del 2000 che prevede – appunto – per ogni individuo con disabilità un percorso personalizzato in grado di accompagnarlo nelle principali tappe della vita.

«L’obiettivo è quello di incoraggiare il ribaltamento del paradigma ‘Più abilità più accesso al lavoro, meno abilità più assistenza’», spiega Francesco Sapia, dirigente scolastico dell’Istituto Tecnico Agrario Statale Garibaldi (di via Ardeatina, 524) che ospita il progetto. La sede operativa è il casale denominato ‘Casa delle autonomie’, annesso a quattro ettari di terreno. Le associazioni dei familiari, qualche insegnante, i ragazzi con disabilità della scuola e i loro compagni lo frequentano, coltivano la terra, organizzano le loro feste di compleanno, preparano da mangiare.

La giornata inizia alle 9, quando le squadre composte da giovani accompagnati dagli operatori sono già pronti: i ragazzi si impegnano nella serra, nel campo, nel frutteto. E ancora, curano gli olivi, la cucina, si occupano del servizio ai tavoli e del mercatino della verdura. Alcuni sono impegnati nella manutenzione del sistema d’irrigazione e nella falegnameria. Ad assisterli ci pensano operatori specializzati, tre tirocinanti della Facoltà di Psicologia della Sapienza, quattro giovani volontari del Progetto Erasmus e sei studenti che svolgono il loro tirocinio di Alternanza Scuola-Lavoro.

Più che una trattoria (tel. 3403480914), i ragazzi sono stati coinvolti in un vero e proprio laboratorio. Il lavoro all’aria aperta ha permesso a molti di loro di acquisire competenze specifiche, che ne fanno potenziali ottimi lavoratori. Anche i comportamenti più difficili da gestire che ne caratterizzavano a volte il quadro clinico si sono ridotti in maniera esponenziale, arrivando in alcuni casi a ridefinire completamente la severità della diagnosi. In più, oltre alla ristorazione, i ragazzi si occupano della cura e coltivazione della terra, con i prodotti venduti nei mercati locali del IV, VI e VII Municipio.

Nel 2015 gli iscritti con disabilità nell’istituto Garibaldi sono diventati 126, di cui 58 con diagnosi nello spettro autistico. Il progetto ‘La cura della terra, la terra che cura’, è andato avanti, ha ricevuto importanti riconoscimenti accademici ed è stato al centro dell’attenzione della comunità scientifica. «In pochi avrebbero creduto che quei ragazzi potessero preparare da mangiare o servire a tavola», continua il dirigente scolastico. «Sono convinto che conoscerci e vedere quello che succede valga più di ogni parola», aggiunge Maurizio Ferraro, papà di Chiara, una delle ragazze autistiche protagoniste del progetto.

«Il nostro sogno è quello di riuscire a dimostrare attraverso la nostra idea – conclude il dirigente scolastico – che tutti possono imparare a lavorare. Anche le persone che il mondo del lavoro taglierebbe fuori a prescindere». Il futuro? «Realizzare una grande fattoria sociale e integrata, che offra al maggior numero possibile di persone con autismo di migliorare le proprie condizioni di vita».

di Raffaele Nappi

Il Messaggero del 30-04-2017

Befree, l’app che segnala percorsi senza barriere per i luoghi d’arte

Disponibile per i dispositivi Android, è stata sviluppata da Global Accessibility, con il contributo di Das e Abiliatour, che la scorsa estate avevano testato sul campo l’accessibilità delle principali attrazioni turistiche di Verona.

VERONA. Una app che indica i percorsi “senza barriere” per raggiungere i luoghi d’arte di Verona fornendo anche informazioni sulle strutture e sul loro gradi di accessibilità: sviluppata da Global Accessibility, “Bfree” è nata grazie alla sinergia con Das, la compagnia di Generali Italia specializzata nella tutela legale, e con la onlus romana Abiliatour, che la scorsa estate avevano testato sul campo l’accessibilità delle principali attrazioni turistiche veronesi, tracciando la mappa riportata nella app.

La prima versione dell’applicazione è ora disponibile per dispositivi Android, ma entro settembre sarà sviluppata una versione 2.0, che permetterà alle aziende turistiche di proporre itinerari e servizi alternativi, purché accessibili e a misura dei portatori di handicap.

“Das è scesa in campo – commenta Roberto Grasso, amministratore e direttore generale della compagnia – per verificare direttamente, con alcuni colleghi disabili, l’accessibilità dei principali punti di interesse nel centro storico di Verona. Oggi il frutto di questo lavoro, grazie alla app gratuita BFree, è a disposizione di tutti coloro che hanno difficoltà di mobilità, non solo persone con disabilità, ma anche mamme con passeggini”. Das continuerà a sostenere la onlus Abiliatour, per proseguire in questo percorso di “abbattimento delle barriere architettoniche”: anche nel 2017, per il terzo anno consecutivo, devolverà infatti all’associazione 50 centesimi per ogni polizza “Difesa in movimento” venduta, il prodotto che tutela gli assicurati dai rischi legati alla circolazione stradale.

Redattore Sociale del 24-04-2017

Come il disability manager cambiera’ l’approccio all’inclusione lavorativa

Presentiamo un ampio approfondimento dedicato al disability manager e al suo ruolo in un contesto aziendale, ovvero a quella persona che deve definire, coordinare e gestire diverse altre figure professionali, con l’obiettivo di soddisfare i bisogni delle persone con disabilità e contemporaneamente di valorizzarle, apportando vantaggi e opportunità all’intera azienda e non alla sola persona con disabilità. «Una figura – scrive Palma Marino Aimone – che potrà giocare un ruolo importante nell’auspicata inversione di tendenza all’approccio dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità».

In un momento di profonda dinamicità e di contestuale criticità del mercato del lavoro, la notizia della recente sottoscrizione a Roma tra la Direzione Aziendale della multinazionale farmaceutica Merck Serono e le rappresentanze sindacali di settore di CISL, CGIL e UIL, di un accordo per un progetto sperimentale della durata di due anni, volto all’inserimento dei lavoratori con disabilità, con la presenza di uno specifico Osservatorio Aziendale sull’Inclusione Lavorativa e con la nomina di un disability manager [se ne legga già ampiamente anche nel nostro giornale, N.d.R.], non può che destare apprezzamento e soddisfazione, in particolare per l’elemento ispiratore, ossia la ricerca del benessere dei lavoratori in azienda.
Si tratta della prima azienda in Italia che nell’adozione di politiche di Disability Management (1) (orientamento gestionale che si focalizza sulla persona con disabilità e sulla sua valorizzazione, con l’obiettivo di adattare l’organizzazione al fine di accoglierla e gestirne i bisogni), ha seguito le indicazioni dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La buona prassi.
Il progetto di Merck Serono rappresenta una proposta strutturata di azioni e di interventi frutto di un gioco di squadra tra azienda, sindacati, lavoratori e professionisti e di una cultura inclusiva delle persone con disabilità, garantiti dalla presenza di un Osservatorio Tecnico Aziendale sull’inclusione lavorativa, ossia di un organismo paritetico bilaterale aziendale. In sintesi: l’optimum della politica di Disability Management, senza nulla togliere alle buone prassi di IBM, TIM, Intesa San Paolo, Gruppo Hera ed altri (2), che con le loro divisioni dedicate hanno rappresentato i primi esempi pratici in azienda di introduzione della figura del disability manager e di azioni di Disability Management.

L’incertezza interpretativa e le indicazioni della SIDIMA
La positività di quel progetto deriva anche dal fatto che iniziative del genere avvengono in un contesto normativo in cui, ad oggi, le nuove linee del collocamento mirato previste dalla riforma del lavoro (il cosiddetto Jobs Act: Decreto Legislativo 151/15, articolo 11), per la «costruzione di una rete integrata (accordi territoriali con sindacati e organizzazione datoriali) capace di migliorare il sistema di inserimento lavorativo delle persone con disabilità, di sostenere la predisposizione di progetti di collocamento mirati e di valorizzare (anche attraverso incentivi economici), e per regolare le figure del disability manager e dell’osservatorio aziendale sulla disabilità», annunciate ormai da tempo come imminenti, non sono state ancora pubblicate, creando incertezza interpretativa sulla figura professionale del disability manager.
E anche il settore pubblico – seppure pioniere nell’inserimento di tale figura professionale – non è esente da tali difficoltà interpretative: infatti, dal primo ed esemplare caso dell’ORAS (Ospedale Riabilitativo ad Alta Specializzazione) di Motta di Livenza, in provincia di Treviso – dove dal 2010 un architetto disability manager trova soluzioni per agevolare l’autonomia di ciascun paziente, anche dopo le dimissioni (3) – passando per l’esperienza del Comune di Alessandria – dove i professionisti operano nei campi dell’urbanistica e dell’accessibilità in genere, del trasporto, della logistica e del potenziamento dei servizi a sostegno delle famiglie e della domiciliarità, adoperandosi per abbattere le barriere architettoniche e mentali, in modo tale da favorire la piena integrazione della persona con disabilità nella città (4) – si arriva alla recente vicenda del Comune di Latina, che nello scorso mese di gennaio, volendo istituire la figura del disability manager, ha cercato tra i suoi dipendenti e le Associazioni di volontariato persone che a titolo gratuito ricoprissero tale incarico, ignorando le caratteristiche di tale professionalità (5).
Tutto ciò premesso, in assenza di una precisa normativa e di un ordine professionale di riferimento, sono preziose le indicazioni di Rodolfo Dalla Mora, presidente della SIDIMA (Società Italiana Disability Manager), la prima e unica Associazione di categoria in Italia: «Il disability manager è una competenza aggiunta ad una professionalità di base già consolidata che può spaziare dai campi dell’ingegneria e dell’architettura alla fisioterapia, alla giurisprudenza, e non ultimo il settore delle HR [Risorse Umane, N.d.R.], parlando sia di consulenza che di HR Manager. Attraverso poi un percorso formativo dedicato di perfezionamento o un master, il professionista assume tali nuove competenze che gli consentono di svolgere questo innovativo ruolo. Il disability manager deve avere conoscenze di normativa sul lavoro in ambito di valutazione della disabilità, di bioetica, di accessibilità di inserimento nel mondo del lavoro e della formazione, di definizione dei piani di Disability Management e una sensibilità su una serie di temi relativi al terzo settore e all’inclusione sociale» (6).
Aggiungo inoltre che non necessariamente il disability manager dev’essere una persona con disabilità, seppure questa condizione potrebbe (ma non è appunto condizione necessaria) dare alla figura professionale un maggiore coinvolgimento.

Le funzioni specifiche.
Un esempio di funzioni specifiche che un disability manager potrebbe svolgere in un’azienda sono quelle previste dal citato accordo con l’azienda Merck Serono:
° essere primo referente di supporto del lavoratore con disabilità, sia in fase di accesso all’impiego che per lo svolgimento delle sue mansioni o per ogni altra situazione di possibile conflitto o disagio;
° elaborare, con il coinvolgimento del lavoratore, soluzioni operative a situazioni di disagio che condizionino negativamente la piena inclusione lavorativa nello specifico contesto aziendale e favorire soluzioni e processi che permettano l’inserimento nel contesto aziendale e il mantenimento nel tempo del posto di lavoro;
° relativamente all’adeguamento delle postazioni di lavoro, degli strumenti di lavoro, dei luoghi di lavoro, pianificare e promuovere interventi che consentano l’adeguata formazione del lavoratore ad eventuali dispositivi adattati e l’accesso, ove possibile, da parte dell’azienda, ai rimborsi attivabili presso l’INAIL o presso il Fondo Regionale per l’Occupazione dei Disabili;
° monitorare costantemente le singole situazioni, i cambiamenti del contesto lavorativo e delle caratteristiche individuali, al fine della prevenzione e della rimozione di eventuali problematiche, della costruzione di opportunità di valorizzazione professionale e della definizione di soluzioni organizzative e adattamenti ragionevoli da adottare;
° fornire ogni elemento necessario e/o utile per l’espletamento dell’attività dell’Osservatorio Aziendale sull’Inclusione Lavorativa, in particolare gli elementi utili per la valutazione dell’andamento dei singoli percorsi dei lavoratori disabili e delle complessive condizioni dei lavoratori con disabilità nell’azienda; verificare l’efficacia delle azioni intraprese, nonché ricercare ogni elemento utile a valutare l’accessibilità da parte di tutti i lavoratori, compresi quelli con disabilità, delle prassi e opportunità aziendali in essere;
° mettere in atto, sentito il parere del lavoratore, le indicazioni dell’Osservatorio, coordinando e interagendo con le strutture aziendali interessate;
° esercitare un ruolo di coinvolgimento delle figure aziendali preposte alla gestione delle risorse umane, degli addetti alla sicurezza e alla prevenzione degli infortuni;
° applicare e/o agevolare l’applicazione delle indicazioni vincolanti espresse dall’Osservatorio e cogenti per l’azienda, entro i limiti della propria competenza.

Gli strumenti necessari.
Gli strumenti che un disability manager può utilizzare per garantire un adeguato inserimento delle persone con disabilità e per creare una reale cultura inclusiva, sono legati in primis alle dimensioni aziendali e poi ai diversi passaggi di cui si compone un efficace piano di Disability Management.
Nella prima fase – dedicata all’analisi organizzativa – si possono utilizzare questionari, interviste, focus group ecc., allo scopo di rilevare e analizzare i valori, gli atteggiamenti, il clima, le regole, la prassi, per poter capire come e dove intervenire. Successivamente si possono sia utilizzare gli strumenti di natura informatica, tecnologica, ergonomica, economica o altro, sia intraprendere iniziative formative di tutoraggio, di mentoring ecc.
Tra gli strumenti di tipo economico ricordiamo i seguenti incentivi:
– Per l’anno 2017, l’INAIL prevede (Circolare 51/16 e Delibera n. 2 del 22 febbraio 2017) una serie di contributi per gli interventi volti alla conservazione del posto di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, per il quale il lavoratore, assicurato all’INAIL, svolgesse attività al verificarsi dell’infortunio, della malattia professionale o al momento del relativo aggravamento che l’abbiano portato alla disabilità: contributo fino a 95.000 euro per l’abbattimento di barriere architettoniche quali rampe, scale, ascensori, bagni, porte ecc.; fino a 40.000 euro per interventi di adeguamento delle postazioni di lavoro (arredi, dispositivi informativi, attrezzature lavoro ecc.); fino a 15.000 euro per la formazione dei lavoratori con disabilità.
– Decreto Legislativo 151/15, articolo 10 (Jobs Act): contributi all’assunzione per la durata di 36 mesi, con un bonus pari al 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, in caso di una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79% e invece pari al 70% della suddetta retribuzione, se il lavoratore è in possesso di una riduzione superiore al 79%.
Oppure, nel caso di lavoratori con disabilità intellettiva e psichica dalla quale derivi una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, l’incentivo spetta per un periodo di 60 mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato, o di assunzione a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, per tutta la durata del rapporto a termine.
– Fondo Regionale per l’Occupazione dei Disabili (articolo 14 della Legge 68/99): contributo a carico del Fondo Regionale Disabili in favore dei datori di lavoro, quale rimborso parziale delle spese sostenute allo scopo di adeguare il luogo di lavoro alle esigenze della persona, purché si parli di soggetti con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%. Lo stesso contributo è concesso anche per agevolare il telelavoro delle persone con disabilità.

Altri strumenti innovativi.
Si parla innanzitutto delle politiche attive del lavoro locali dedicate alla disabilità: alcuni esempi sono dati dalla Dote Lavoro Disabili Lombardia, dal Programma Garanzia Giovani Disabili del Piemonte, da Giovani Sì della Toscana (7), o dalla Legge della Provincia Autonoma di Trento 19/83, che rappresentano soltanto alcuni esempi i quali – come tutti i programmi di politica attiva del lavoro dedicati – prevedono l’utilizzo di strumenti (non solo incentivi e tirocini) e la collaborazione di operatori specializzati per favorire l’inserimento e il reinserimento delle persone con disabilità.
Vi è poi il cosiddetto Smart Working (il relativo Disegno di Legge approvato dalla Camera è ora all’esame del Senato), ossia la possibilità di lavorare in parte o totalmente fuori dalla sede aziendale negli orari concordati, grazie al supporto di una serie di strumenti quali laptop, cellulare aziendale ecc.
Ai vantaggi tipici dello strumento, che consente di ottimizzare il costo del lavoro e le politiche retributive orientate maggiormente al merito e al raggiungimento effettivo degli obiettivi, si aggiungono i vantaggi dell’abbattimento dei costi di gestione e di adeguamento dello spazio fisico per il personale con disabilità e della reale integrazione lavorativa, ciò che vede nelle strutture di Co-Working (che supera le caratteristiche alienanti del telelavoro) un possibile spunto innovativo per i piani di Disability Management.
Lo Smart Working, inoltre, determina anche una riduzione dei costi dell’assenteismo, specie quello relativo alla disabilità, il tutto a beneficio dell’efficienza produttiva. E in attesa che venga promulgato il relativo provvedimento normativo, ci sono già dei casi consolidati di buone prassi (8).
Infine, il Welfare Contrattuale di Previdenza e la Sanità Integrativa specificatamente rivolti alle persone con disabilità, così come tutti gli altri strumenti di Work-Life Balance, ovvero di equilibrio tra vita personale e professionale (oltre allo Smart Working, vi è la cessione di permessi a colleghi disabili o con parenti disabili; la priorità nell’accesso al part-time; i permessi orari o giornalieri per motivi di cura o di percorsi terapici), che consentono non solo di incidere sul cuneo fiscale, ma anche di creare reale integrazione e valorizzazione delle persone con disabilità o con gravi patologie, dal momento dell’inserimento sino al termine della loro vita professionale (9).

Le competenze.
Da quanto detto finora emerge che il disability manager dovrebbe avere competenze di tipo manageriale ed economico, oltreché psicologico-sociali. Nello specifico, competenze nella gestione delle risorse umane, di politiche organizzative aziendali di Change Management (“gestione del cambiamento”), di normativa del lavoro, di natura informatica, tecnologica e medica. Ovviamente non è possibile trovare tutto ciò in una singola persona e pertanto, a livello pratico, si può dire che il disability manager sia un “facilitatore” che coordina e gestisce diverse altre figure professionali e che pertanto deve poter guidare un gioco di squadra da parte di:
° Istituzioni, e in particolare quelle locali, per regolare e facilitare gli interventi necessari.
° Sindacati, i quali svolgono un ruolo fondamentale non soltanto nel promuovere progetti e azioni, come ad esempio quello citato della Merck Serono (10), ma che in sede di contrattazione collettiva aziendale possano introdurre – oltre agli istituti di welfare aziendale – gli strumenti di Work-Life Balance e di Smart Working di cui si è prima detto. Possono inoltre intervenire in altre aree, quali le modifiche nella disciplina del comporto o della copertura retributiva della malattia, i percorsi formativi, il sostegno alla carriera, quello economico (implementazione delle causalità per anticipo del Trattamento di Fine Rapporto TFR ecc.) e battersi per un calcolo della produttività rispettoso delle specificità, creando condizioni di vantaggio e di benessere, sia per l’azienda che per i lavori con disabilità.
° Professionisti, quali architetti, medici, informatici, consulenti del lavoro, specialisti HR (Risorse Umane) (11), recruiters [“reclutatori”, N.d.R.] (12), agenzie per il lavoro (13). Queste ultime hanno il vantaggio di poter lavorare a stretto contatto con le realtà aziendali e attraverso la pluralità dei servizi offerti – comprese le missioni in somministrazione di durata pari o superiori ai 12 mesi, utili per l’adempimento ai fini del collocamento obbligatorio – possono costruire soluzioni dedicate di Disability Management. Le agenzie per il lavoro, del resto, sono l’unico settore ad avere il Fondo di Formazione di categoria (Forma.Temp), con un linea formativa dedicata esclusivamente all’inserimento delle persone con disabilità del mondo del lavoro (14).
In ogni caso il disability manager deve avere una formazione di base adeguata e a tal fine la SIDIMA – anche in convenzione/collaborazione con altri operatori specializzati – è in grado di supportare, formare e aggiornare professionisti sia del settore pubblico che quello privato.

Il ruolo.
In sostanza, quindi, il disability manager è una persona che definisce, coordina e gestisce diverse altre figure professionali, con l’obiettivo di soddisfare i bisogni delle persone con disabilità e contemporaneamente di valorizzarle, apportando vantaggi e opportunità a beneficio dell’intero contesto aziendale e non del solo disabile.
Può essere un dipendente oppure un consulente esterno e deve ricoprire un ruolo aziendale adeguato ad incidere in maniera significativa sulle strategie e sulle politiche dell’azienda stessa. La coincidenza della figura professionale con il responsabile delle Risorse Umane (HR Director), come avvenuto per la Merck Serono, è un’ottima scelta, ma non l’unica possibile. Molto, infatti, dipende dalle dimensioni aziendali, per cui mentre grandi aziende saranno magari maggiormente portate a creare un soggetto interno, piccole e medie imprese potrebbero avere più facilità a rivolgersi a un professionista del settore.
L’istituzione di tale figura professionale, in alcuni casi, viene incentivata a livello economico da iniziative locali, come ad esempio quella del Piano Provinciale di Mantova per l’inserimento delle persone con disabilità.

Le prospettive.
Nel rimarcare alcuni elementi indispensabili della professione del disability manager, non si vuole né pubblicizzare l’attività di qualcuno né sminuire una figura professionale ad alto valore aggiunto nelle moderne organizzazioni aziendali. Si vuole soltanto mettere dei punti fermi ed evidenziare iniziative e azioni concrete da parte dei sindacati, degli operatori specializzati e dell’associazione di categoria, intensificatesi dal settembre dello scorso anno, a partire dalla Quinta Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità di Firenze.
Nonostante il vuoto normativo lasciato dalla mancata pubblicazione delle nuove linee sul collocamento mirato e dal dubbio messaggio del Decreto Milleproroghe, che ha rinviato al 2018 la nuova disciplina del collocamento obbligatorio per le piccole imprese, negando così a tante persone con disabilità l’opportunità di accedere al mondo del lavoro (15), l’auspicio è che si stia assistendo a un’inversione di tendenza all’approccio dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e che si stia formando un mercato del lavoro focalizzato sempre più sulle persone e sulla loro valorizzazione. In tale contesto la figura del disability manager, con la sua professionalità, può giocare un importante ruolo nel processo di cambiamento del mercato del lavoro e delle realtà aziendali.
Si spera inoltre che il più volte citato progetto pilota di Merck Serono possa rappresentate un importante punto di riferimento per altri accordi da siglare in altre aziende e non solo dello stesso settore.

Palma Marino Aimone,
Consulente HR (Risorse Umane), Normativa e Costo del Lavoro; diversity e disability manager, socia della SIDIMA (Società Italiana Disability Manager).

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Note:
(1) Palma Marino Aimone, Gioco di squadra e una nuova cultura, per garantire l’inclusione lavorativa, in «Superando.it», 25 gennaio 2017 (testo già apparso in «Network e Lavoro», con il titolo Il Disability Mangement: spunti di riflessione per consulenti del lavoro e specialisti HR).
(2) Cúram Solution for Disability Management, in sito di IBM; TIM: al via la “TIM Equity & Inclusion Week”, per un’azienda sempre più inclusiva, in sito di Telecom; Diversity, in sito di Intesa San Paolo; Disabilità e lavoro. Opportunità e diritti per il lavoratore disabile e per il lavoratore che assiste disabili, in sito di Gruppo Hera.
(3) C’è il primo disability manager nominato in un ospedale, in «Superando.it», 15 settembre 2010.
(4) Alessandria alla fase finale del premio Access City Award 2017. La city manager Paola Testa: “Il risultato di un costante lavoro di squadra negli anni”, in «Corriere AL», 1° novembre 2016.
(5) Giusy Cavallo, Disability manager, il Presidente di SiDiMa: “A Latina sbagliano, serve un professionista e va pagato”, in «LatinaQuotidiano.it», 14 marzo 2017.
(6) Quel che dev’essere un disability manager, in «Superando.it», 17 ottobre 2016; Rodolfo Dalla Mora, Contro ogni strumentalizzazione del disability manager, in «Superando.it», 4 ottobre 2012.
(7) Dote Lavoro Disabili Lombardia (Piani Provinciali Disabili Triennali) a questo link; Garanzia Giovani Disabili Regione Piemonte (Rifinanziamento dal 31 marzo 2017) a questo link; Tirocini Disabili Giovani Sì Toscana a questo link.
(8) Se ne legga in: Francesco Moroni, Smart Working, e il mondo può diventare il tuo ufficio, in «La Stampa», 13 giugno 2016.
(9) Si veda il Contratto Collettivo Aziendale di Intesa San Paolo.
(10) Un’Osservatorio sull’Inclusione e un disability manager in un’azienda farmaceutica, in «Superando.it», 17 marzo 2017.
(11) La Società Diversity Opportunity coniuga talento e innovazione per la valorizzazione della diversità e della disabilità e per una nuova cultura organizzativa aziendale. Page Personnel ha una divisione dedicata alla disabilità e così via.
(12) Jobmetoo è ad esempio un’agenzia di recruting esclusivamente dedicata alle categorie protette.
(13) Tra le principali agenzie per il lavoro con divisioni dedicate alla disabilità, vanno citate: Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, Randstad Hopportunities, Articolo 1 Categorie protette, Quanta Diversity e Openjobmetis Diversity Talent.
(14) Forma.Temp (Fondo per la Formazione dei Lavoratori Temporanei), Vademecum. Note operative per la gestione delle attività formative finanziate dal Fondo, ottobre 2008, p. 44.
(15) Se ne legga in Palma Marino Aimone, L’inclusione lavorativa non funziona a colpi di rinvio delle norme, in «Superando.it», 27 febbraio 2017.

 

di Palma Marino Aimone*

Superando.it del 20-04-2017

Terapia Multisistemica in Acqua (TMA): gestire le emozioni e modificare gli schemi cognitivo-comportamentali dei bambini con autismo

La Terapia Multisistemica in Acqua è usata con bambini autistici, si avvale di tecniche cognitive, comportamentali e relazionali. I risultati sono notevoli.

E’ la Terapia Multisistemica in Acqua, la cosiddetta “TMA”, che oramai da tempo viene praticata con i bambini affetti da disturbi dello spettro autistico. Si avvale di tecniche cognitive, comportamentali, relazionali e senso-motorie e produce risultati davvero ammirevoli.

Aufiero Daiana – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Nata anni fa, nel 1990, nel cuore e nella mente di alcuni giovani psicoterapeuti (P. Maietta, G. Caputo e G. Ippolito) che, ancora studenti, si trovarono a fare gli istruttori di nuoto per persone diversamente abili. Notarono per la prima volta i cambiamenti comportamentali messi in atto da bambini con diagnosi di disturbi generalizzati dello sviluppo e autismo.

Gli stessi bambini che incontrati negli spogliatoi o all’interno della struttura, nei corridoi o nelle stanze, li ignoravano completamente, in acqua assumevano atteggiamenti meno oppositivi e meno evitanti: già dai primi incontri cominciavano a relazionarsi, sia pure con modalità anomale. Da qui cominciarono a raccogliere i primi dati per creare le basi teoriche e le tecniche pratiche di quella che è diventata la Terapia Multisistemica in Acqua, una vera e propria terapia praticata in molte piscine d’Italia.

Terapia Multisistemica in Acqua: perché multisistemica? E perché in acqua?
La Terapia Multisistemica in Acqua è multisistemica perché valuta e interviene sui diversi sistemi funzionali del bambino, ossia sul sistema relazionale, cognitivo, comportamentale, emotivo, senso-motorio e motivazionale. Il sistema relazionale è quello attivato prioritariamente dalla terapia in acqua. I miglioramenti degli altri sistemi sono una conseguenza degli interventi che si fanno su questo.

Il terapeuta valuta le modalità di approccio e di interazione del bambino osservando posture corporee, evitamento oculare, interazione con l’ambiente e con gli altri; interviene offrendo un’opportunità di cambiamento del sistema relazionale attraverso tecniche mediate dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby e derivanti da modelli teorici di riferimento come la teoria dell’aggrappamento primario di Balint (1991). Secondo tale modello teorico, il bambino avrebbe una tendenza innata ad entrare in contatto con l’altro e ad attaccarsi ad un essere umano. Per l’autore si tratterebbe di un bisogno indipendente dal cibo ed essenziale quanto il cibo.

Per i bambini che presentano un disturbo autistico, sembra che questa tendenza ad aggrapparsi sia poco presente, o meglio, poco attivata: sono soliti stare da soli evitando il contatto con l’altro. Con la terapia multisistemica in acqua, attivandosi la paura per la sopravvivenza, il bambino mostra un innato bisogno di aggrapparsi al terapeuta, bisogno chiaramente non manifestato fuori da questo ambiente.

Ecco perché la terapia si svolge in acqua, in quanto questa risulta essere un forte attivatore emozionale che diventa anche attivatore relazionale (le emozioni vanno dalla felicità, eccitazione o gioia, alla paura, frustrazione e rabbia ed il terapeuta, riconoscendole, aiuta il bambino a contenerle ed esprimerle in modo congruo).

La Terapia Multisistemica in Acqua e la teoria dell’attaccamento.
Se da un lato, l’aggrappamento primario spiega il comportamento del bambino, che istintivamente si aggrappa al terapeuta, dall’altro, poco ci dice sulla relazione che successivamente si creerà tra terapeuta e bambino. La teoria centrale che permette di spiegare e interpretare tale comportamento è la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969-1973), secondo la quale l’attaccamento sarebbe un sistema motivazionale primario. Nella Terapia Multisistemica in Acqua il bambino ha la possibilità di sperimentare un attaccamento sicuro con il terapeuta e di immagazzinare un modello operativo interno di una persona sensibile ed affidabile, capace di contenerlo; questo lo condizionerà in tutte le altre relazioni.

Obiettivo fondamentale della Terapia Multisistemica in Acqua è quello di stabilire con il bambino una relazione significativa che modifichi le modalità comunicative disfunzionali. L’ingresso del terapeuta nel sistema relazionale del bambino crea fin da subito una rottura delle modalità relazionali pregresse e degli schemi sottostanti, incrementando in modo congruo interscambi più funzionali. Il terapeuta diventa per il bambino una figura di riferimento e successivamente una base sicura, dalla quale partire per poi esplorare il mondo, ampliando le proprie conoscenze e alla quale ritornare nei momenti avvertiti come difficili e/o pericolosi.

La Terapia Multisistemica in Acqua: come interviene sulle capacità cognitive?
Le capacità di adattamento all’ambiente stimolate dall’intervento presumono l’attivazione di capacità cognitive. Il bambino in piscina evidenzia aumentate capacità mnemoniche e attentive, mostrando interesse e propensione verso alcune attività e oggetti, prestando attenzione alle richieste dell’operatore, riuscendo ad eseguire i compiti anche attraverso richieste verbali. Inoltre, in acqua è possibile e necessario ai fini terapeutici, produrre situazioni imprevedibili e non già vissute per promuovere le capacità di problem solving.

La Terapia Multisistemica in Acqua interviene positivamente anche sul sistema comportamentale, in quanto attiva una serie di condotte che, con l’intervento del terapeuta, diventeranno man mano adeguate al contesto, permettendo l’estinzione o l’attenuazione di eventuali “comportamenti problema”. Il sistema senso-motorio viene attivato dall’acqua e dagli stimoli che il terapeuta può offrire al soggetto: imparare a muoversi nel nuovo ambiente in relazione continua con il terapeuta facilita le capacità di coordinazione; I giochi motori-relazionali e la temperatura dell’acqua creano, inoltre, delle sollecitazioni che in nessun altro ambiente possono essere offerte. Secondo Piaget le attività cognitive risultano dall’interiorizzazione degli schemi senso-motori: in acqua è possibile operare su quella che Piaget definiva “l’intelligenza senso-motoria”, caratterizzata dall’azione diretta che il bambino compie sugli oggetti, i quali vengono manipolati e conosciuti come realtà limitata nel tempo e nello spazio.

Particolarmente interessante, in tutto ciò, è notare come l’attività del bambino autistico in acqua possa cambiare le dinamiche interne familiari: i genitori cominciano a osservare in piscina un figlio “diverso” da come sono abituati a vedere in tutti gli altri contesti (il ragazzo aggressivo, poco capace di instaurare relazioni significative, poco attento e oppositivo); un po’ alla volta, riacquistano fiducia nelle potenzialità del figlio e ciò porta ad un loro maggiore equilibrio relazionale con il bambino.

Applicazione della Terapia Multisistemica in Acqua.
Ma vediamo meglio come si applica la Terapia Multisistemica in Acqua. La terapia segue una metodologia specifica che presuppone: l’utilizzo di una piscina aperta al pubblico che costituisce il setting privilegiato in quanto ha il vantaggio di una possibilità costante di piena integrazione sociale del bambino con disturbi di questo tipo; il rapporto individualizzato tra terapista e utente, almeno nelle prime fasi della terapia; la suddivisione della terapia in fasi; i colloqui anamnestici diagnostici e valutativi con le famiglie; la valutazione funzionale del bambino in acqua; la progettazione individualizzata dell’intervento con obiettivi a medio e lungo termine; la supervisione in acqua e in setting tradizionale; la verifica dei risultati attraverso checklist e scale di valutazione; le figure professionali specializzate.

Le fasi della terapia permettono di immaginare la Terapia Multisistemica in Acqua come un “macroprocesso” suddivisibile in “microprocessi”; queste sono:
• Fase valutativa
• Fase emotivo-relazionale
• Fase senso-natatoria
• Fase dell’integrazione sociale.

Ogni fase ha finalità specifiche, senza aver raggiunto le quali non è possibile passare alla fase successiva. Le fasi si susseguono e si sommano nel senso che: gli obiettivi raggiunti nella fase precedente si sommano con gli obiettivi della fase successiva.

La Terapia Multisistemica in Acqua, pur nascendo come terapia per il disturbo autistico, può essere generalizzata ad altri tipi di disturbi: disturbo iperansioso dell’infanzia, ritardo mentale, disturbo da attenzione e iperattività, disturbo reattivo dell’attaccamento, fobie, disturbo della condotta, disturbo oppositivo-provocatorio, schizofrenia ed altri disturbi psicotici, sindrome di Down, disturbi motori ed altri ancora.

E’ necessario sottolineare che la Terapia Multisistemica in Acqua non deve essere utilizzata da sola, ma deve essere affiancata ad altri interventi terapeutici e se necessario da cure farmacologiche. Non presenta nessuna controindicazione, soprattutto se si condividono gli obiettivi con altre figure professionali per il raggiungimento del benessere del soggetto beneficiario. La riuscita dell’intervento terapeutico pare sia maggiore quanto minore risulta essere l’età del paziente che intraprende la terapia e quanto più precoce sia l’inizio delle attività specifiche.

 

State of mind del 27-03-2017

Tre progetti per i giovani con autismo

“Autismo viaggia Europa”, “Vele spiegate all’autismo” e “Creatori di bellezza”: si chiamano così i tre progetti lanciati dall’Associazione romana Il Filo dalla Torre, che vedono per protagonisti i giovani con autismo dell’Associazione stessa e che possono essere sostenuti sino alla fine di questo mese, nell’àmbito del Programma “Aviva Community Found”.

ROMA. Autismo viaggia Europa, per la realizzazione di un viaggio con sei ragazzi autistici, in diverse capitali europee, dando vita a un percorso non solo turistico, ma anche di sensibilizzazione sull’autismo, a livello europeo; Vele spiegate all’autismo, che prevede uscite in barca a vela per i giovani che afferiscono all’Associazione, all’insegna del divertimento e della sperimentazione di nuove autonomie e conoscenze; Creatori di bellezza, per avviare un laboratorio artistico finalizzato alla creazione di oggetti di bigiotteria, sempre da parte dei giovani con autismo: sono questi i tre progetti lanciati dall’Associazione romana Il Filo dalla Torre, che sono stati “messi in gioco” nell’àmbito del Programma Aviva Community Found, e che tutti potranno dunque sostenere fino al 30 marzo prossimo. (S.B.)

Ringraziamo Sandro Paramatti per la segnalazione.

Superando.it del 20-03-2017

La nuova Legge sul cinema preveda l’accessibilita’ dei film!

Lo chiede una petizione lanciata nel web dall’Ufficio Comunicazione della Fondazione Carlo Molo di Torino, chiedendo che il Disegno di Legge sul cinema approvato nei giorni scorsi al Senato e ora in attesa di passare alla Camera, venga integrato con un articolo in cui si preveda che le produzioni cinematografiche sostenute dallo Stato siano rese accessibili alle persone con disabilità visiva, uditiva e cognitiva, con sottotitolazioni faciltate e audiodescrizione, nel pieno rispetto dell’inclusione sociale e anche – particolare non trascurabile – della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Al di là di come la si pensi, ci sono indubbiamente numerose (e anche positive) novità nel Disegno di Legge sul cinema (Disciplina del cinema e dell’audiovisivo), approvato nei giorni scorsi al Senato e ora in attesa di passare alla Camera. E tuttavia in esso vi è anche una grave lacuna, su una questione particolarmente cara al nostro giornale, che abbiamo trattato proprio ieri, in riferimento a lodevoli eccezioni, come la Festa del Cinema di Roma e all’ormai annoso impegno sul tema di un’Associazione come Blindsight Project. Si tratta in sostanza della mancanza quasi totale, nel nostro Paese, di film accessibili alle persone con disabilità visiva, uditiva e cognitiva, in aperta violazione dell’articolo 30 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport). Riteniamo quindi del tutto degna di nota l’iniziativa lanciata da Daniela Trunfio, responsabile dell’Ufficio Comunicazione della Fondazione Carlo Molo di Torino, consistente in una petizione intitolata semplicemente Fermiamo la Legge sul cinema!, che sta già raccogliendo moltissime adesioni. Vi si legge tra l’altro: «Questa Legge non tiene fede alla Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], che “riconosce il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di eguaglianza con gli altri alla vita culturale, e invita a prendere tutte le misure appropriate per assicurare che le persone con disabilità godano dell’accesso a programmi televisivi, film, teatro e altre attività culturali, in forme accessibili”». «La resa accessibile – si legge ancora – dà diritto alle persone con deficit visivi, uditivi o cognitivi, come anche alle persone di prima alfabetizzazione, di poter andare al cinema da soli anche senza accompagnatore. Firmiamo dunque perché sia inserito un articolo che preveda che le produzioni che ricevono il sostegno dallo Stato siano rese accessibili con sottotitolazione facilitata e audiodescrizione, nel pieno rispetto dell’inclusione sociale! Perché la resa accessibile è un atto di civiltà». (S.B.)

Superando.it del 13­10­2016

Il menu con il “bollino” si legge grazie a un’app

NOVARA. Una foto al «bollino» con il Qrcode e il telefonino legge il menù: la prima a sperimentare il nuovo servizio a Novara è la pizzeria «Centro» di corso Cavallotti che da tempo collabora con l’Unione ciechi. Un’amicizia nata per caso tra i clienti e un gestore attento alle esigenze di chi è in difficoltà. Così sono cominciate le «Cene al buio» con ciechi e ipovedenti come camerieri e adesso il menù letto dallo smartphone.

Alle pagine con gli elenchi dei piatti verrà applicato un bollino che i clienti potranno «sentire» con le dita: una volta trovato basta scattare la foto e un’applicazione legge il menù con la sintesi vocale. «Senza la vista non vengono meno le attività della vita quotidiana e l’Unione ciechi ­ dice il suo presidente Pasquale Gallo ­ si sta battendo per favorire l’autonomia dei disabili visivi. Magari il non vedente arriva da solo al ristorante ma poi ha bisogno di aiuto per ordinare la cena: vogliamo superare questo ostacolo e speriamo che anche altri locali aderiscano all’iniziativa».

Per adesso sono disponibili menù con fotocopie del Qrcode, i «bollini» in rilievo sono in fase di stampa e tutto sarà pronto per settembre: «Li applicheremo alle pagine dei primi piatti, dei secondi, dei dolci e delle bibite ­ dice Mario Ferrara, contitolare del “Centro” ­. Per le pizze non servono: basta la fantasia di ognuno». [b.c.]

La Stampa del 29­07­2016

Stanno per tornare i “Sensi d’Estate” al Museo Omero di Ancona

ANCONA. Tra percorsi multisensoriali di arte, teatro, musica, odori e sapori, sta per tornare al Museo Tattile Statale Omero di Ancona, l’ormai tradizionale rassegna denominata Sensi d’Estate, che dal 20 luglio al 24 agosto prevede una serie di spettacoli serali, nella corte della Mole Vanvitelliana, sede del Museo Omero (in caso di pioggia si terranno presso il Teatro Sperimentale L. Arena), mentre dalle 17 fino alla mezzanotte è possibile visitare il Museo stesso e le sue mostre, da Visioni animali. Sculture d’Arte Contemporanea, inaugurata nelle scorse settimane (se ne legga anche nel nostro giornale) a Roberto Papini. Metamorfosi del rifiuto, che prenderà invece il via proprio il 20 luglio (ore 18.30).

Si incomincerà dunque il 20 luglio con Mamme suocere e … vajasse, insieme all’attrice Rosalia Porcaro, spaccato comico­musicale della Napoli di ieri e di oggi, fatto di monologhi grotteschi e paradossali e delle musiche dal vivo del trio Ànema. Il 27 luglio, poi, lo storico gruppo folk La Macina presenterà il suo primo disco live, vera e propria antologia dei brani più belli e noti del quasi cinquantenario lavoro di ricerca e di riproposta della tradizione orale marchigiana. E ancora, il 3 agosto andrà in scena Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, tratto dall’omonimo bestseller di Mark Haddon, per la regia di Antonio Lovascio e Stefania Terrè, con la voce narrante della quindicenne Christabel Boone, giovane con sindrome di Asperger e protagonista lei stessa del bestseller di Haddon. Il 10 agosto quindi, sarà la volta di un concerto lirico in collaborazione con l’Associazione Amici della Lirica Franco Corelli di Ancona, mentre il 17 agosto tornerà il Duo Bucolico, irriverente coppia cantautoriale composta da Antonio Ramberti e Daniele Maggioli, che presenteranno il loro sesto disco, centrato sul mondo sottosopra di “Cosmicomio”. Infine, chiusura della rassegna il 24 agosto, con David Anzalone e il suo contro­monologo Targato H, spettacolo comico in cui il filo conduttore è il costante ribaltamento in chiave ironica delle concezioni comuni che si hanno nei confronti della disabilità (regia e musiche di Alessandro Castriota). (S.G.)

Superando.it del 20.­07.­2016

Il museo Marino Marini ha aperto le porte alla disabilita’

Lo ha fatto con un’iniziativa originale: vivere l’arte del grande maestro pistoiese a occhi chiusi. Occhi non vedenti e occhi vedenti, ma bendati. Per il numeroso gruppo di visitatori che ha partecipato all’esperienza sensoriale (foto) lungo le tappe del nuovo percorso tattile, inaugurato negli spazi del Palazzo del Tau dalla Fondazione Museo Marino Marini in collaborazione con l’Unione Ciechi di Pistoia, è stata una visita coinvolgente e intensa. Ha liberato fiducia reciproca, ha ribaltato i ruoli, ha stimolato i sensi e generato forti emozioni. I non vedenti hanno guidato e rassicurato molti dei loro accompagnatori e visitatori normodotati che per la prima volta si trovavano a muoversi bendati tra le sale di un museo, sforzandosi di guardare con altri occhi. Il risultato è stato straordinario. «Abbiamo scoperto insieme ai vedenti cosa può nascondersi dentro alle opere d’arte di Marino Marini ­ commenta Tiziana Lupi, presidente dell’Unione Ciechi di Pistoia ­ e li abbiamo guidati attraverso il nostro mondo e lo strumento della lettura tattile». Il nuovo percorso di visita tattile è costituito da un ciclo di pannelli e opere di Marino. «Abbiamo scelto di inaugurare il percorso tattile ­ spiega Ambra Tuci, responsabile eventi della Fondazione Museo Marino Marini ­ con una modalità di visita diversa, offrendo al gruppo l’opportunità di conoscere Marino con le mani e gli occhi dell’immaginazione. La storia delle origini del mondo, dalla superficie liscia della terra alle forme tonde e avvolgenti delle fertili Pomone, è stata narrata e trasmessa da Anna Maria Iacuzzi dell’associazione Artemisia». IL NUOVO percorso è stato presentato e vissuto a occhi chiusi anche dall’assessore alla Cultura del Comune di Pistoia Elena Becheri. «E’ stata un’esperienza emotivamente intensa ­ ha detto ­ , in cui ho sperimentato direttamente il senso dell’affidarsi agli altri e ho condiviso un diverso approccio e una modalità di conoscenza dei linguaggi di Marino che ne fa riscoprire il senso più intimo e più profondo». All’inaugurazione hanno partecipato anche Giovanni Boldrini che ha realizzato i pannelli tattili e lo psicologo Antonio Frintino. «In vista di Pistoia, capitale della Cultura 2017 ­ conclude Tuci ­ organizzeremo i attività, visite e laboratori in modo da coinvolgere gli ipovedenti in un percorso incentrato sulla manualità attraverso l’uso di argille e l’ascolto di suoni e musica».

La Nazione del 19­07­2016

Trisome Games lo sport non ha limiti

A Firenze, dal 15 al 22 luglio, si svolgerà la prima edizione dei Giochi riservati ad atleti con sindrome di Down In gara 900 giovani provenienti da 34 paesi di tutto il mondo.

LA RASSEGNA. Eccola, la grande novità. Dal 15 al 22 luglio Firenze e la Toscana ospiteranno la prima edizione dei Trisome Games. Sarà una manifestazione dedicata unicamente ad atleti con sindrome di Down, impegnati in nove discipline: vale a dire l’atletica leggera, il nuoto, il nuoto sincronizzato, la ginnastica artistica, la ginnastica ritmica, il calcio a cinque, il judo, il tennis e il tennis tavolo. Al momento hanno aderito 34 nazioni provenienti dai cinque continenti: e a partecipare saranno circa 900 tra atleti e tecnici. Semplice e logica la ragione per cui gli organizzatori hanno scelto il nome «Trisome»: la sindrome di Down, d’altronde, è chiamata anche «trisomia 21». Come detto, insomma, i Trisome Games saranno il primo evento multidisciplinare rivolto a ragazzi con sindrome di Down.

GLI IMPIANTI. Non si tratterà né di Olimpiadi né di Paralimpiadi, visto che gli atleti con sindrome di Down ancora non sono stati inseriti nel programma delle Paralimpiadi. Per intendersi, l’obiettivo sarà creare un evento capace di dimostrare che un ragazzo Down che salta quattro metri o corre i 100 metri in 13 secondi è in grado di compiere un gesto sportivo a tutti gli effetti. E, quindi, una prestazione figlia di un lavoro che coinvolge la famiglia e la scuola, la società e la Fisdir, ovvero la Federazione italiana sport disabilità intellettiva relazionale. La rassegna fiorentina si svolgerà tra lo stadio Ridolfi (atletica leggera), la piscina Costoli (nuoto e nuoto sincronizzato), la palestra Sorgane (ginnastica), la palestra Barbasetti (calcio a cinque) e Affrico (judo, tennis e tennis tavolo). Organizzato dal Comitato presieduto da Alessio Focardi, l’evento è stato assegnato all’Italia e nello specifico a Firenze dalla Su­Ds, l’organismo internazionale che sovraintende lo sport per atleti con sindrome di Down. Naturalmente la candidatura azzurra è stata fortemente caldeggiata dal Comitato italiano paralimpico presieduto da Luca Pancalli e dalla Fisdir di Marco Borzacchini. Dunque, questa estate, a Firenze, gli atleti si sfideranno per una medaglia ma allo stesso tempo tenteranno di abbattere stereotipi, e contribuiranno ad accrescere la cultura paralimpica nel nostro Paese. Il Coni, il Comitato regionale della Toscana, la Regione, il Comune e la città di Firenze saranno figure fondamentali nella riuscita della manifestazione. Per Borzacchini, «l’Italia sarà apripista del movimento sportivo riservato ad atleti con sindrome di Down, e questo rappresenta per noi un motivo di orgoglio. Sarà un evento non solo sportivo, ma culturale, che permetterà di conoscere le capacità di questi atleti, animati da una straordinaria volontà. E che dimostrerà al mondo il ruolo che l’Italia gioca nello scacchiere internazionale».

IL PARTNER. Della prima edizione dei Trisome Games è partner Il Gioco del Lotto, che ha l’obiettivo di dare un sostegno importante a un progetto di inclusione sociale capace di rompere la barriera dei pregiudizi. In questo modo Lottomatica vuole offrire una grande opportunità di conoscenza, crescita culturale e sociale per la comunità. Per Il Gioco del Lotto, sostenere lo sport significa promuovere lo sviluppo e la diffusione della cultura sportiva, strumento di incoraggiamento e trasmissione di valori sociali e educativi quali il rispetto dell’avversario e la lealtà. Il supporto al primo evento mondiale dei Trisome Games testimonia ancora una volta l’importanza che Il Gioco del Lotto attribuisce al concetto di responsabilità sociale. E testimonia anche come, legando il proprio nome alle più importanti istituzioni culturali e sociali del Paese, in questi anni il Lotto abbia dedicato forte attenzione e risorse ai territori nei quali opera e si sviluppa.

di Bruno Saccani

Il Messaggero del 24­05­2016

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