Memoria e identità

La mostra, appartenente al ciclo di “Memoria e Identità” e risultato della selezione relativa all’omonimo CONTEST estivo, ospita la presenza di diversi Autori contemporanei, come Moe Baghdadi, capace di cogliere immagini di una società contemporanea, che incornicia restituendocelo, con un background mai banale, unito alle sue felici perplessità.
La fotografa Delia Biele, con la serie “mother”, un lavoro introspettivo che rievoca la sua condizione di figlia a cui viene improvvisamente a mancare la guida materna.
La giovane Giorgia Pettinari, con le sue immagini tratte da una installazione in gesso realizzata in laboratorio, presenta un lavoro dove non é difficile intuire le sue origini provenienti da quel paesaggio marchigiano, fatto di colli gentili e paesini arroccati.
Infine Paolo Roscini, che attraverso la sua raffinata tecnica di stampa, ci fa conoscere la Bellezza attraverso l’amore per ogni aspetto della vita: “la bellezza altro non é che una promessa di felicità”, come ribadiva Agnes Heller.

– Paolo Monina –

MOHAMMED BAGHDADI

Giovane fotografo amante della “street-photography”, coglie le immagini di una società, come frammenti di quotidianità.
Incornicia ciò che vede, in un background mai banale, donando e/o restituendo a quell’istante decisivo le sue felici perplessità.

– Paolo Monina –

DELIA BIELE

La serie “mother”, rappresenta un lavoro introspettivo dell’artista Delia Biele che rievoca la sua condizione di figlia cui improvvisamente viene a mancare la guida materna.
Intorno al ricordo di questa figura importante fluttuano sentimenti e speranze ai quali l’autrice conferisce una valenza di positiva evocazione, in questo aiutata dal mare dell’amata Senigallia in cui vive da anni, e che la madre stessa un tempo ha amato e scelto per le vacanze con tutta la famiglia.

– Delia Biele –

GIORGIA PETTINARI

Si tratta di fotografie fatte ad una installazione in gesso realizzata da me in laboratorio. Le ho esposte per la prima volta a Cesena, dove le hanno commentate dicendomi: – Qui parlano le tue origini marchigiane, fatte di colli gentili e paesini arroccati su di essi! –
È anche per questo motivo che ho voluto proporle per la mostra “Memoria e Identità”.
Petit è un frammento di viaggio nell’universo tra pianeti lontani, galassie e terre deserte, per accorgersi di come lo spazio abitato dall’uomo sia infinitamente piccolo, una briciola d’universo. Accogliere ciò fa acquisire consapevolezza di quanto il cammino dell’uomo sia un’impresa tanto eroica quanto misteriosa. Petit, come me, come te.

– Giorgia Pettinari –

PAOLO ROSCINI

Le foto in mostra fanno parte di un progetto dal titolo Flowers on the road, ribattezzato anche vite da niente.
Sono nate quasi per caso, sia quelle ai Sali d’argento che le polaroid.
Io abito in periferia e per un periodo uscivo dopo la mia giornata lavorativa a passeggiare per una stradina che da sulla campagna circostante per rilassarmi.
Il periodo primaverile, il sole che allungava le giornate, il silenzio interrotto da sporadiche auto di passaggio mi distendeva la mente. Su questa strada non ero mai solo, altri facevano come me e ci scappava sempre il saluto, un pó come si usa fare sui sentieri di montagna quando incontri altre persone.
Il mio sguardo spaziava in ogni dove, fu così che notai giorno dopo giorno il fiorire di tante piantine, fili d’erba anonimi, steli che crescevano formando disegni grafici diverse ogni giorno. Da qui il progetto di fissare questi istanti su carta. Notai anche e la cosa mi faceva sta bene, che tutte queste piantina nascevano ovunque, erbacce. Il sentirmi circondato da tanta meraviglia prolungava la sensazione di benessere delle passeggiate serali.
Le polaroid sono venute in un secondo momento. Le case abbandonate, circondate e sopraffatte dalla vegetazione che si riappropria dello spazio rubato in tempi passati, fanno parte di un progetto denominato la strada dei ricordi. In pratica la mia infanzia, quando queste case erano abitate piene persone, coetanei, padri, madri, nonni, figli e il cane legato alla catena che non mancava mai. Sono i ricordi di un tempo passato. La strada, il camminare, è una costante che ricorre spesso miei lavori.

– Paolo Roscini –

La mostra resterà aperta fino alla fine di febbraio con i seguenti orari:

Venerdì 10-13, 17-19.30
Sabato 10-13, 17-19.30
SpazioArte – Fondazione A.R.C.A.
Via F.lli Bandiera, 29
Senigallia
0710975279
amministrazione@fondazionearca.org

Artisti allo Spazio Arte

Lo Spazio Arte, della Fondazione A.R.C.A., in via F.lli Bandiera n. 29, presenta dal 2 novembre 2019, un nuovo progetto espositivo che vedrà la partecipazione sia di artisti che già collaborano con la Fondazione stessa sia di nuovi artisti.

L’esposizione, curata da Paolo Monina, offre ai visitatori l’opportunità di apprezzare le diverse rappresentazioni del paesaggio marchigiano: dal descrittivo al concettuale.
La mostra resterà aperta fino al 30 dicembre 2019.

Orari:
Venerdì 10-13, 17-19.30
Sabato 10-13, 17-19.30

Disponibilità al di fuori di questo orario (anche di Domenica), su appuntamento, dal 27 al 30 dicembre.

Lo SpazioArte riaprirà, con un nuovo progetto espositivo, il 10 Gennaio 2020.

SpazioArte – Fondazione A.R.C.A.
Via F.lli Bandiera, 29
Senigallia
0710975279

amministrazione@fondazionearca.org 

AIME – sulle immagini di Roberto Zappacosta (di Enrico Carli)

 

C’è ben poco di chiaro in queste immagini oblique, sgranate, analogiche, oniriche. Sembrano smaterializzarsi sotto i nostri occhi come rapidi flash della mente, impressioni e racconto dell’inquietudine, dello stato confusionale
o del trapasso. I cimiteri sono un soggetto costante per Zappacosta, anzi potremmo dire che la sua produzione fotografica (Quiete, DimensioneIncompresa) è dedicata interamente al culto dei morti. Illustri, in questo caso.
Siamo a Parigi, al Père-Lachaise. C’è una donna raccolta sulla tomba di Marcel Proust, l’autore della Recherche. Un cielo e dei rami che si fondono in un sepolcro (quello di Jim Morrison, ma che potrebbe essere di chiunque). Ma siamo anche al Centre Pompidou e al Musée d’Orsay. Un water del Beaubourg; una palla che riflette un cubo; degli stivaletti in primo piano e un uomo in frac, che guarda altrove; i tetti di Parigi visti dall’audace architettura del museo d’arte moderna (alla realizzazione del quale collaborò Renzo Piano). Ci sono degli angeli monchi, il naso adunco del profilo di una statua; c’è poi il celebre dipinto L’Origine du Monde di Gustave Courbet, che lo psicanalista-filosofo Jacques Lacan acquistò all’asta nel 1955 e dopo la sua morte venne trasferito al Musée d’Orsay, dov’è a tutt’oggi esposto. I morti si celebrano in vita così come i loro lasciti, le opere.

Aime, in francese, è una forma del verbo “aimer” (amare), prima e terza persona singolare dell’indicativo presente, dal significato che oscilla a seconda dell’impiego (amo/a, vuol bene, piace…). Ma è anche un imperativo presente e acquisisce ben altro umore. Essendo però un singolo verbo privo di sostegni sintattici, e in assenza di pronome personale, esso può esprimere un desiderio senza oggetto, un apprezzamento privo di referente, un’imposizione
o l’espressione di una preferenza. Le possibili letture brancolano nel regno delle ipotesi aggrappandosi a cedevoli margini di senso, a ciò che si sa dei riferimenti. Allievo di Mario Giacomelli – che, grazie anche alla poesia di Pavese, traslò l’immagine senza forma della morte in qualcosa che si potesse vedere (nella serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi) – Zappacosta non esorcizza la “signora con la falce” assegnandole un corpo, piuttosto sembra cadere in trance fino a invischiarsi con essa. Vediamola, questa parola – trance: “è uno stato psicofisiologico caratterizzato da fenomeni quali insensibilità agli stimoli esterni, perdita o attenuazione della coscienza, dissociazione psichica, che può essere indotto mediante ipnosi o autoipnosi.

Alcune persone – sensitivi, sciamani, medium ecc. – riescono ad ottenerlo spontaneamente” (dal dizionario). È uno stato dell’essere, come l’ispirazione, che è possibile ottenere anche spontaneamente, laddove si produce un diverso livello di coscienza capace di restituirci qualcosa che ci appartiene, che diamo per vero come un’esperienza premorte. In questo senso Zappacosta è puro istinto. Non sta lì a fare la foto “bella”, lui si dissocia psichicamente. Non ha
intenzioni ritrattistiche o di denuncia, lui perde la coscienza. Sarebbe un errore fissare questi scatti da svegli, in piedi, dopo aver preso un caffè, con accanto qualcuno più o meno vigile di noi. Bisognerebbe poter visionare queste
immagini nel pieno del sonno o negli istanti che precedono il risveglio, senza cognizione e vincoli di significato.

Ma appunto qualcosa, di questi riferimenti, la sappiamo: Marcel Proust ha ricercato il tempo perduto e ne ha fatto un mondo immateriale abitabile con tutti i sensi (per chi ne ha dubbi, il viaggio proustiano inizia proprio col senso
del gusto). Jim “il Re Lucertola” Morrison ha trasceso gli stati della coscienza per poi consegnarci le sue celebri canzoni lisergiche; mentre Gustave Courbet ci ha posto sotto gli occhi l’inizio ma anche la fine del mondo nel suo dipinto forse più apodittico. Zappacosta – che evoca nei suoi scatti la presenza di questi grandi artisti – pare invitarci a chiudere gli occhi per vedere al di là del tempo, della coscienza e della continuità. Ci piaccia o meno, l’esposizione si allestisce nel sonno della ragione, dove le visioni diventano enigmatiche allegorie della nostra condizione spirituale.

#comparse (in ordine di sparizione):

Gustave Courbet

(1819-1877)

Marcel Proust

(1871-1922)

Cesare Pavese

(1908-1950)

Jim Morrison

(1943-1971)

Jacques Lacan

(1901-1981)

Mario Giacomelli

(1925-2000)

La mostra, curata da Paolo Monina, verrà inaugurata Sabato 07 Settembre alle ore 19:00 e resterà aperta, anche su appuntamento, fino al 31 Ottobre.

Orari:

Settembre

Giovedì 17-19.30

Venerdì e Sabato 10-13, 17-19.30

Ottobre

Venerdì e Sabato 10-13, 17-19.30

Per informazioni:

SpazioArte della Fondazione A.R.C.A. – Onlus

V. F.lli Bandiera, 29

Senigallia

tel. 071 0975279

amministrazione@fondazionearca.org

segreteria@fondazionearca.org

Verità visive di Brasca

“Galanterie in odore di asfalto”

2 agosto – 31 agosto 2019 

Come un poeta maledetto, é viaggiatore!

Come Lautremont scrive ai suoi “simili”.

Il ritorno di poesie già scritte, metafore di un malessere che ripercorre sotterranei già visitati.

“Io sono un vostro simile, uomini di cattiva fede! Differisco da Voi solo perché non nego il mio male”, che é anche il vostro, anche se grazie ai “colori” della vostra gioventù, non nego i miei tratti alterati dallo spavento!

Falconara, città dei contrasti, meticciato, dove il nuovo si mescola al vecchio, dando origine alla innovazione. Le diverse culture condividono la vecchia realtà: la stessa di sempre!

Una pubblicità ci informa che “siamo quelli che scegliamo”.

Il mondo non é fatto di ciò che vediamo!

Scrive Brasca “Una volta presa coscienza della realtà, la verità diventa personale, e la percezione delle cose cambia base delle proprie esperienze” ed é allora che i pensieri popolano la verità visiva!

“Galanterie in odore di asfalto” é la mia verità, il mio vissuto. Ciò che state guardando, rappresenta comunque un omaggio alla realtà, quella che in questi venti anni mi ha permesso di crescere, “vestendomi” artisticamente.

Ci sono dei momenti che sento John Cage dire: “Mi resi conto che non esiste una reale separazione tra suono e silenzio, ma soltanto tra l’intenzione di ascoltare e quella di non farlo.”

B- Anche stanotte sento il silenzio, resto sveglio, che non sto tranquillo Batte a tempo, quasi ho uno scompenso Sento l’eco in testa quando strillo

B- Guardando l’Api dal pontile, sembra Tokyo!

Sono il treno in corsa che perdi, se non lasci tutti i tuoi bagagli…

La mia verità é dunque rappresentata dalla fusione tra il bello e il brutto: parole senza senso, o forse sono la stessa cosa! (J.Cage)

B- Vengo da una città che non sai dov’é

Se esci in strada di sera la gente non c’é

prego per questi ragazzi …

pieni di ambizione

la nostra limitazione

E ancora John CageI suoni stanno nella musica per rendersi conto del silenzio che li separa.”

Tutto il resto é visione, parole che descrivono la realtà visiva!

B- Sorridi e aspira dentro quest’aria amara

Una foto racconta una storia in un attimo, la storia cantata, racconta un solo attimo.

Concludo affermando quanto segue: il vostro occhio é feroce, come quello di colui che legge! E’ complice di tutte le sregolatezze meditate nel vortice dell’odio e nei “reami della collera”.

– Paolo Monina –

Orari:

Martedì 17-20

Mercoledì 10-13

Giovedì, Venerdì e Sabato 10-13, 17-20, e 21-23

   

Per informazioni:

SpazioArte della Fondazione A.R.C.A. – Onlus

V. F.lli Bandiera, 29

Senigallia

tel. 071 0975279

amministrazione@fondazionearca.org

segreteria@fondazionearca.org

Notte Dei Musei

“L’immagine della visione” – L’uomo col cuscino bianco sotto il braccio.

 

“L’uomo col cuscino bianco sotto il braccio” é la figura portante della espressione artistica: é colui in grado di farci vedere una realtà altra, diversa da quella che potremmo essere indotti, osservando un evento, un paesaggio, o fermando una situazione che manifestandosi ci attrae.

Questo uomo incarna la figura del VISIONARIO, capace di vedere e/o anticipare, avendole già “vissute in futuro”, esperienze diverse, rispetto a coloro che le vivono nell’istante contemporaneo: “adesso”.

Parlando del paesaggio marchigiano, ritengo, al di là della intrinseca bellezza, che molto spesso abbia significato un rifugio, l’alcova, il luogo dove potersi riparare o perdersi, schivando situazioni enigmatiche, a volte avverse, a volte anche favorevoli…

Questo progetto espositivo, attraverso il segno, l’atmosfera, l’immagine, ci racconta e ci mostra quasi come davanti allo specchio, il ritratto dell’Autore. 

Ognuno di questi Autori (Mario Giacomelli, Alessandro Gagliardini, Paolo Monina, Giuseppe Chiucchiù, Renzo Tortelli, Enzo Romagnoli, Lorenzo Cicconi Massi) ha fotografato, o realizzato il proprio autoritratto.

Mario Giacomelli

“Pur amando la fotografia e sentendomi un REALISTA, difendendo la stessa come
COMUNICAZIONE, credendo in un genere fotografico che DOCUMENTI, ho scoperto da un paio di anni, che la POESIA é il linguaggio col quale credo di realizzarmi per poter fuggire dalle regole e dalle banalità quotidiane.

Lo spazio non é più appiattito, le cose che vedevo sempre uguali: le strade e la gente della mia città, pensando alla poesia, ora mi sembrano modificate, tutto sa di avventura che mi coinvolge in esperienze nuove, mi fa vivere viaggi in territori immaginari”.

Da sempre conosce le rughe, da quando piccolo seguiva la madre che lavorava – per necessità – in un ospizio, quei solchi gli appartengono, appartengono all’umanità, alla madre Terra. con sempre più drammatica partecipazione, materializza in immagini la morte della sua terra: la parte centrale della regione Marche.
“MI SONO POI ACCORTO CHE FOTOGRAFAVO LA MIA ANIMA.”

L’opera di Mario Giacomelli, può riassumersi nel significato de
“IL SENSO DEL TEMPO”

Alessandro Gagliardini

Il fascino delle visioni di Gagliardini é quello che parte dallo sguardo che é capace di catturarle, mettendole poi ordinate in un sistema competitivo a Lui congeniale.

Gagliardini mantiene sempre vivo il legame tra l’uomo che conosce il territorio e lo stesso che ne é affascinato.

In questa sorta di simbiosi, egli si presenta come il narratore che fa sua la vicenda e se ne impadronisce.

Molte delle sue immagini, parlano descrivono il tentativo di trovare una risposta (é l’immagine della suora che sembra “buttarsi” sul sagrato) che sembra digradare in depressione: si resta immobili al montare della paura; é la visione dal fondo del pozzo.

L’importanza del paesaggio nella sua opera, diviene allora metafora vitale, a volte orrida ed inquieta dell’animo del “Poeta-Fotografo”.

Paolo Monina

Fare é uno stato attivo, io procedo verso uno scopo che é anche un desiderio. Non c’é paura. Nei termini di una relazione con la vita, va tutto bene o tutto male.

Sono colei e colui che dà, e che provvede. Ogni mia immagine racchiude una visione:

é il “Ti amo”, qualunque cosa accada.

Disfare é sfasciare, il tormento che le cose non siano al loro posto e l’angoscia di non sapere che fare. é il ritorno del rimorso; é la sparizione dell’oggetto amato.

Il senso di colpa spinge ad una profonda disperazione e a lasciarsi andare, alla passività. Ci si ritira nella propria “fetta di universo”, per riorganizzarsi, riprendersi,pensando di poter ritornare.

L’immagine ha preso consistenza: “il senso della visione”

Giuseppe Chiucchiù

Attraverso i suoi scatti, va ad indagare un paesaggio marchigiano ricco di misteri e la sua ricerca mette a nudo non lo sconosciuto, ma l’inconoscibile.

Le sue immagini parlano di aneddoti, di storie e novelle dedicate alle credenze più antiche e radicate, alle fate, alle streghe che frequentavano le accese fantasie dei contadini, esse le si vedeva nella notte di San Giovanni; l’aratro di San Floriano che divise in due l’Appennino creando la Gola della Rossa…

Le Marche della sirena Mitì e Azzurrina; perché poi non ricordare lo spostamento della Santa Casa di Loreto dalla Terra Santa alla balcanica Tersatto, per giungere poi a Loreto….

Solo a chi si ostina ad ignorare che questa é una terra nella quale tutto é già accaduto, e tutto può ancora succedere.

L’unica logica, nell’antica Marca, é l’incrocio di mondi diversi!

Renzo Tortelli

Rappresenta sin dagli inizi del suo percorso artistico il pensiero della fotografia come espressione, come linguaggio e come arte, al di là del mero aspetto/approccio prettamente tecnico.

Viene introdotto da Mario Giacomelli nell’ambiente di Giuseppe Cavalli, guida e anima di “quella piccola patria della fotografia “che era Senigallia in quegli anni ’50.

Assieme a loro, liberò la fotografia dai vincoli tecnici e dal valore “del Bello e del Brutto” legati a certi dettami, smontando quegli aspetti per individuare valori specifici della forma o dimensione fotografica.

In quella direzione, si stava affermando l’idea della fotografia intesa come “visione fotografica”, come ricerca dell’atmosfera e del momento, come “istante” successivamente diventato “decisivo (H. C. Bresson).

Formalismo/astrattismo e realismo come in pittura: dibattito che impegnò le arti figurative negli anni ’50 in Italia, da cui scaturirà l’arte contemporanea e la nuova fotografia. Renzo Tortelli cresce in questo giardino “selvatico”, con quella visione personale, che a volte diviene una sorta di presagio, intuizione correlata al proprio stato d’animo.

“Una grande fotografia deve essere una espressione piena di ciò che uno sente; ed ecco prendere sempre più consistenza “la vera espressione di ciò che si sente sulla vita nella sua totalità”.

Nascono così i suoi grandi reportage: Il Cantagiro, l’Istituto Santo Stefano di Porto Potenza, Scanno e Piccolo Mondo.

In tutta la sua attività artistica, condivisa da Giacomelli e Cavalli, l’immagine dell’“altro”, di colui che per motivi di “grandezza” rappresenta il Piccolo, a volte invisibile, a tanti.

Enzo Romagnoli

Nella sequenza di tutti i momenti determinati, che possiamo definire decisivi, a colpirci é l’armonia del tono e la scelta della luce che, evidenziando, sottolinea il percorso del suo vedere.

Guardando le immagini di Romagnoli, ci soffermiamo sul cromatismo, sulla luce e sulla saturazione del colore, che impregna l’atmosfera capace di coinvolgere chiunque le osservi; le sue fotografie raccontano l’identità del luogo: la marchigianità.

Le sue immagini nascono da sopralluoghi meticolosi, diretti alla scelta delle situazioni e dei luoghi da fotografare, in molti casi prive di persone.

Una scelta di solitudine utile soprattutto per evitare distrazioni e favorire rapporti più profondi con i luoghi e le poche persone incontrate: un prezzo che si paga volentieri per ottenere l’intima poesia da una prosa visiva.

L’utilizzo delle pellicole Polaroid diviene fondamentale per poter operare manipolazioni condotte direttamente sulla stessa superficie, per ottenere immagini uniche.

Anche l’uso del B/N non é accademico, i toni riescono a dare il sapore della storia marinara di pescatori, del loro lavoro in mare, del fatto di essere rimasti ormai in pochi, le situazioni create nel familiarizzare, dedicandosi alla raccolta con le reti, molluschi, delle lumachine, etc.

La fotografia ha un ruolo storico e sociale, Romagnoli offre il suo contributo.

Lorenzo Cicconi Massi

Lorenzo Cicconi Massi è uno strano personaggio. Non solo è fotografo, sceneggiatore e regista, ma è, in tutte queste cose, soprattutto un visionario.

Un autore capace di interpretare la realtà umana trasformandola, piegandola ad una sua visione interiore.

Sceglie i suoi soggetti con cura, nella sua ricerca nulla è lasciato al caso: luce, personaggi e scelta delle inquadrature.

Nulla è fuggevole. Nelle sue fotografie tutto rimane immobile, tutto sembra
esserci per sempre.

I suoi ritratti di giovani sono figure dell’anima,
spettri bellissimi senza  tempo. I luoghi che sceglie sembrano terre sconosciute, mondi lontani.

Eppure Lorenzo si muove laddove lo spazio gli è più familiare, in quell’Italia antica e contadina, dove le stagioni della natura, le colline, i cieli e la luce diventano elementi della composizione visiva dell’autore. La sua fotografia è sensibile ed intelligente, ricca di suggestioni, capace di trasmettere la visione di un sogno. Nelle immagini dei giovani che ritrae c’è lo splendore dell’incanto, il sapore ambiguo
dell’innocenza, la forza degli sguardi che lasciano allo spettatore la magia dello stupore. (di Renata Ferri, Photoeditor)                              

Paolo Monina, curatore

L’esposizione verrà inaugurata Sabato 18 maggio alle ore 18,00, in concomitanza con la Notte dei Musei alla quale la Fondazione partecipa (con apertura serale dalle 21,00 alle 23,00)e resterà aperta, anche su appuntamento, fino alla fine di giugno 2019.

Per informazioni: 

SpazioArte della Fondazione A.R.C.A. – Onlus
V. F.lli Bandiera, 29, Senigallia

tel. 0710975279

amministrazione@fondazionearca.org

segreteria@fondazionearca.org

Di traverso le ciglia – Cicconi Massi e Hisako Mori

La Galleria Arca Arte, apre all’arte altra, con le proposte fotografiche di Lorenzo Cicconi Massi e quelle pittoriche di Hisako Mori.

I due artisti esprimono, attraverso la fotografia e l’acquerello, il confronto tra l’uomo e la natura, che sopravvive sospeso e rappresentato sopra un infinito spazio bianco, che non ci é dato a conoscere.

Non oso fidarmi dei miei occhi, ma in queste opere, credo ci sia qualcosa di quell’aspetto misterioso che si ottiene guardando la natura “…di traverso le ciglia…” in modo che i contorni vengono schematizzati a macchie di colore, mentre i neri diventano espressioni in un linguaggio decorativo. 

L’esposizione verrà inaugurata il 29 marzo e resterà aperta fino al 31 maggio 2019.

Per informazioni:

SpazioArte della Fondazione A.R.C.A. – Onlus
V. F.lli Bandiera, 29
Senigallia

tel. 0710975279

amministrazione@fondazionearca.org

segreteria@fondazionearca.org

Oltre i tabù

Dal 25 Novembre al 6 Gennaio 2019 lo SpazioArte ospiterà la mostra “Oltre i tabù” – Antonio Delle Rose e Paolo Monina.
All’inaugurazione del 25 Novembre parteciperanno il presidente della fondazione dott.ssa Francesca Pongetti e il curatore della mostra Andrea Carnevali.
Ci saranno inoltre letture dei testi sul tema del dolore e della sofferenza a cura del prof. Roberto Rossini.
Testi poetici di: Umberto Saba, Amelia Rosselli, Dario Bellezza, Alda Merini.

Lo storico dell’arte Andrea Carnevali scrive sulla mostra:
Nell’era contemporanea il ruolo delle immagini è cresciuto così tanto da influenzare anche la linguistica. Il significato originario della parola sembra essersi allargato e talvolta avvicinato ai valori di molti artisti che hanno voluto attribuire alle parole per mezzo del linguaggio pittorico, fotografico o mediale (video arte, video installazioni ecc.). Le opere di Gina Pane sono diventate un simbolo del dolore fisico emotivo come liberazione dalle sofferenze continue nella vita. Le sue performance sono state sconvolgenti, ma hanno il potere magico rituale. Perciò la stessa parola tabù sembra aver assunto delle nuove eccezioni che sfuggono alla classificazione tradizionale, presentate, talvolta, dai linguisti e nei dizionari. Il titolo della mostra OLTRE I TABU’ potrebbe essere parafrasato con il termine sensibilità o differenze culturali. La negazione della diversità avviene,  quando si ha paura di soffrire è perciò i sentimenti sono censurati, ossia diventano un tabù. L’evento espositivo può raccogliere l’interesse di un pubblico di giovani che desidera approfondire i percorsi inconsapevoli dell’anima, grazie al linguaggio della fotografia, dell’arte informale o della pittura figurativa. La commistione espressiva tra fotografia e pittura è spesso impiegata dal cinema che ha sviluppato uno stile pieno di assonanze con altri linguaggi espressivi. Basti pensare alle celebri pellicole “Tabù” (2012) di Miguel Gomes e “Toni Erdmann” (2016) di Maren Ade dove si notano una certa attenzione e ricercatezza nelle immagini nei fotogrammi cinematografici.

Due stili espressivi
In quest’occasione si è lavorato sul concetto di amore come esperienza dolorosa, ossia sulla sofferenza generata da diversi avvenimenti tragici della vita. L‘esposizione, che è affrontata in una combinazione di due stili diversi, intende leggere interiorità del pittore Antonio Delle Rose e del fotografo Paolo Monina grazie alle opere del percorso espositivo dello SpazioArte. Tutt’e due sono importanti personalità del panorama artistico marchigiano che hanno voluto raccogliere la sfida di esporre in uno spazio piccolo nel cuore di Senigallia, ma non certo tra i più prestigiosi della città.

L’arte di provocare 
Il tema dei fiori di questa mostra è ispirato a Gina Pane, artista francese che lavorò sul concetto di amore come esperienza di amara disperazione. La sofferenza, che può essere legata ad un sentimento forte, fu da lei affrontata in una sorta di performance dal titolo Azione sentimentale (1973) allestita presso la Galleria Diaframma di Milano. Il progetto espositivo dello SpazioArte è stato sviluppato tenendo in considerazione i lavori degli anni ’80 quando l’artista non ha più utilizzato il suo corpo nelle installazioni, ma ha incominciato ad accostare materiali differenti, facendo emergere dal suo lavoro la sofferenza fisica e morale da cui lo spettatore tendeva a scappare. Un interessante articolo del 2009 di Salvatore Maresca Serra ha aperto una riflessione sul dolore e sul pensiero negativo come evoluzione della filosofia di Shopenhauer. Ragionando su questo tema, Antonio Delle Rose e Paolo Monina hanno voluto esplorare nuove forme di ricerca in cui l’intervento artistico possa dare delle risposte alla vita di tutti i giorni, ossia al superamento dell’isolamento della malattia, del dolore oppure dell’esclusione sociale. L’arte cerca di correggere la paura di poter sbagliare, imponendo a se stessi dei divieti forti che diventano tabù.

Antonio Delle Rose
Le rose del pittore pesarese, piene di spine, possono ferire e creare delle lacerazioni alla meno od alle braccia. Il bel fiore si trasforma in un’arma di sofferenza, quando tentiamo di cogliere una rosa perché gli aculei entrano nella nostra pelle (se non facciamo attenzione). Questa ipotesi di interpretazione dei dipinti di Antonio Delle Rose in questa mostra può essere letta in una chiave leopardiana: “ non c’è uomo così profondamente persuaso della nullità delle cose, della certa e inevitabile miseria umana, il cui cuore non s’apra all’allegrezza anche la più viva…” (Zibaldone, 2 gennaio 1829). Ossia l’uomo si vuole avvicinare alla rosa che rappresenta il bello ed il sublime, ma il dolce incanto si spezza subito al contatto con il dolore delle spine delle rose che proteggono il gambo affinché non venga reciso e muoia il fiore.

Paolo Monina 
Le calle adagiate a terra o sul tavolo fanno pensare a dei corpi inermi che hanno rifiutato di continuare a vivere. Questo tema riflette l’istinto artistico di Paolo Monina che sente molto vicino il surrealismo e lo stile di Man Ray. L’effetto pittorico e patinato di toni violacei o blu cede ancora più rarefatto l’ambientazione in cui è stato posto il mazzo di fiori. Grazie alle fotografie di Paolo Monina si amplifica di più il sentimento della negazione e del rifiuto tipico di chi non ammette qualsiasi forma di emancipazione sociale o affettiva. Pertanto all’individuo non rimane che accettare inerme e in solitudine qualsiasi cosa perché non rimane all’uomo che guardare!

The end

Dal 12 agosto al 30 settembre presso lo Spazio Arte di Fondazione A.R.C.A. Onlus in via Fratelli Bandiera 29 a Senigallia si terrà l’evento espositivo “The end” che rubricherà il lavoro di Alessandro Gagliardini (fotografo), Enzo Bellini (incisore) Cristina Messora( pittrice). La scelta di mettere insieme tre figure così diverse tra loro è avvenuto non casualmente, ma pensando al loro stile e alla tecnica del bianco e nero dagli artisti usata. La mostra è ispirata ai film in bianco e nero italiani che sono una grande risorsa culturale e fanno parte del patrimonio dei Beni culturali.
In occasione della giornata inaugurale il 12 agosto alle ore 21 presso la Biblioteca Speciale in via Maierini 34 a Senigallia, l’esperta delle arti Cristina Messora realizzerà un laboratorio di arte creativa rivolto ai bambini dal titolo “Il carosello”.

Le acqueforti di Enzo Bellini

“Lavoro, faccio, cancello, come sempre,

e come farò per tutta la vita”.

(A. Fontanesi)

La inquieta sensibilità e un gusto difficilmente appagabile hanno indotto Enzo Bellini (Santa Sofia 1932- 2015)  ad accostarsi a quegli ambienti piemontesi. Egli  matura nell’ambiente torinese un linguaggio artistico grazie alla vicinanza dei pittori  Attilio Aloisi  e  Felix de’ Cavero  da cui impara diverse  tecniche espressive: la pittura,  l’incisione, la grafica pubblicitaria e l’illustrazione.

Egli ha compiuto una scelta rigorosa di fronte alla ricerca di rappresentazione della natura nelle sue opere: nella larga trama orizzontale di pianura e di cielo ha tessuto scarsi elementi verticali, uno o due alberi, per esaltare al massimo il senso della luce e dello spazio. Bellini compie, grazie anche alla lezione di Antonio Fontanesi, una sapiente analisi del vero: egli semplifica le linee del terreno o del paesaggio perché il virtuosismo topografico non lo interessa.

La sua posizione  di fronte alla natura si può giustificare come una sorta di nostalgia del passato  perché quel mondo da lui rappresentato  non esiste più. Grazie alle sue doti grafiche (maniera e acquatinta), Bellini riesce a dare alle sue opere effetti pittorici di una  certa intensità.

Le acqueforti sono il frutto della ricerca di uno spirito colto, difficile ed intellettuale che osserva i modelli del passato perché spinto dal desiderio di perfezione e di emulazione, perciò sperimenta diverse tecniche esistenti per raggiungere  il risultato finale.

La  vernice, che ricopre la lastra, non oppone nessuna resistenza alla punta d’acciaio.  Bellini ha insistito nelle prove di stampa e ha tentato di raggiungere con il metallo risultati sempre più perfetti, riproducendo  la matrice incisa col bulino o con la puntasecca, e adottando morsure multiple nella ricerca di nuovi effetti tonali.

Le poche stampe esposte nello “SpazioArte” della Fondazione A.R.C.A. sono, dunque, sufficienti a comprendere lo stile e la poetica dell’artista e lo strumento tecnico: una luce intensa, in grado di stemperare la fisicità dei corpi per conferire la vitalità al tratto, più evocativo che sintetico, volto a scarnificare l’immagine, ormai priva di ogni valore plastico.

Andrea Carnevali

Fulvio Paci

Pittore, incisore

Fulvio Paci è nato nel 1939 a Pirano, allora città italiana ora slovena. Nel 1959 termina gli studi presso l’Istituto Statale di Belle Arti (famosa Scuola del Libro) di Urbino con la specializzazione di illustratore e decoratore del libro. Si dedica all’insegnamento fin dal 1962 in provincia di Cagliari, poi in provincia di Brescia dal 1965, anno in cui consegue l’abilitazione all’insegnamento di Disegno e Storia dell’Arte. Dal 1965 al 2002 frequenta varie stamperie d’incisione ed apprende la tecnica dell’acquaforte e di tutte le sue derivanti e incide una cinquantina di lastre. Dal 1961 inizia a dipingere sperimentando nuove tecniche nell’ambito di una continua ricerca figurativa, simbolica ed evocativa. Partecipa a mostre, esposizioni e premi in Italia e all’estero, dove ottiene benevoli consensi di pubblico e di critica. Recentemente ha partecipato anche a importanti Fiere d’Arte internazionali quali Padova (in due edizioni) e Salisburgo (Austria). E’ presente nella Raccolta delle Stampe “A.Sartori” di Mantova; nel Gabinetto delle Stampe antiche e moderne del Comune di Bagnacavallo (RA); nella Raccolta Arte Grafica dell’Ass. Naz. Incisori Italiani di Vigonza (PD); nel Museo d’Arte Moderna di Sassoferrato (AN) e nella Fondazione Biblioteca Morcelli-Repossi Pinacoteca di Chiari (BS).

Smile Back

In occasione della “Settimana blu dell’autismo” edizione 2018, la Fondazione A.R.C.A. Onlus di Senigallia organizza l’esposizione d’arte “smile back”. La mostra prevede la presenza dell’artista senigalliese Catia Uliassi, la cui indagine pittorica sul volto rivela un interesse introspettivo, una coerente ricerca psicologica segnata a tratti rapidi, sintetici e cromaticamente espressivi. Uliassi scruta il soggetto senza risparmiare energia vitale, i gesti descrivono ciò che l’occhio vede e svelano, in chiave pirandelliana, l’ “io” e la sua molteplicità.
Con Catia l’autore Francesco Diotallevi, artista ironico ed essenziale, formatosi tra Urbino e Bologna, da anni attivo nell’ambito dell’arte contemporanea a declinazione “pop”. Colori vivaci e piatti, segno nero marcato, le icone di Francesco sono fotogrammi estrapolati da una narrazione, il cui finale, dal retrogusto amaro, non scioglie il sorriso.

La mostra “smile back” è un invito a condividere, senza risparmiare, emozioni autentiche.

L’inaugurazione dell’esposizione di Catia Uliassi e Francesco Diotallevi è domenica 25 Marzo 2018, alle ore 18.00, presso la sede A.R.C.A. di via Fratelli Bandiera, 29 a Senigallia (AN)

Per informazioni:

SpazioArte della Fondazione A.R.C.A. – Onlus
V. F.lli Bandiera, 29
Senigallia

tel. 0710975279

amministrazione@fondazionearca.org

segreteria@fondazionearca.org

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